Il presente articolo é stato pubblicato sul n. 97 di Latinoamerica, rivista trimestrale di Gianni Miná.______________
Sono passati quattro mesi da quel fatidico 2 luglio, giornata elettorale in Messico. Le elezioni piú importanti: la Presidenza della Repubblica e il rinnovo delle due camere del Congresso federale. Una data attesa e sofferta per piú di un anno. La campagna elettorale ufficiale ha avuto i tempi regolamentari che l’Istituto Federale Elettorale (IFE) aveva stabilito. Ciononostante, la campagna per la Presidenza ha avuto un ampio prologo che ha visto protagonista l’allora fortissimo pre candidato dell’opposizione, riunita attorno al maggior partito di centro sinistra messicano, il Partido de la Revolucion Democratica (PRD). Andres Manuel Lopez Obrador, dal 2000 al 2005 governatore del Distretto federale, l’entità amministrativa che include Città del Messico con i suoi venti milioni circa di abitanti, ha sin dall’inizio del suo mandato giocato tutte le carte possibili per approssimarsi alle elezioni in una posizione di forza, e all’interno del partito di appartenza, il PRD appunto, e sullo scacchiere nazionale. Sin dall’inizio Lopez Obrador si erige a promotore dell’austerità, difensore della democrazia e dell’onestà, portatore di nuovi ideali di paese. Con azioni concrete molto decise, a volte di spericolato taglio populista, Lopez Obrador ha saputo conquistarsi il sostegno prima della gente piuttosto che dei caporali di partito. Convinto, per esempio, che il problema occupazionale si potesse risolvere attraverso le opere pubbliche, Obrador ha fatto costruire case, condomini, strade, ospedali, grazie al finanziamento pubblico e privato. Con lo stesso metodo ha fatto costruire una decina di sedi della nuova Università e della nuova scuola media superiore di Città del Messico, un’istituzione autonoma e gratuita per tutti i cittadini della capitale. Sul fronte anziani, che non sono pochi, ha fatto approvare una legge che obbliga il governo a dare loro una pensione sociale, indipendente dall’eventuale pensione lavorativa. A metà del 2004, la capitale del paese poteva vantare il maggior indice di qualità sanitaria ed educativa di tutto il paese.
Certo, non è stato tutto rosa e fiori. La pensione per gli anziani è spendibile solo in WallMart. Grazie alle nuove strade, è statisticamente aumentato il numero già enorme di autoveicoli. E’ stata approvata una legge, la famigerata legge di Cultura Civica, che proibisce o regola in forma repressiva ogni attività economica informale – tra le migliaia che esistono nella capitale – con il triste risultato di aver messo in carcere diverse migliaia di poveri costretti a chiedere l’elemosina agli angoli delle vie. Insomma, dicono i critici, la contraddizione non manca. Obrador ha saputo, infatti, da un lato accontentare le fasce deboli della società, vastissimo bacino di voti, e dall’latro soddisfare il mondo imprenditoriale con una forte spesa pubblica. Tutto ciò con un solo risultato: piacere a tutti. Perché per esempio, si domandano coloro che lo attaccano, spendere milioni di pesos per rimodellare il Centro Storico e lasciare che le colonie popolari continuino a annegare ogni volta che piove? Non c’è risposta. O meglio, alla maggior parte della gente non interessa. I risultati positivi superano di gran lunga i difetti: chi in questo paese, per esempio, si è assunto, come governo, il costo del trasposrto pubblico pur di mantenere le stesse tariffe per oltre sei anni?
Con questo enorme vantaggio d’immagine, giungiamo all’inizio del 2004, quando, apparentemente per caso, un’impresa di sondaggi sforna il primo sondaggio in odore di elezioni. La domanda era semplice: “Se si votasse oggi per il Presidente della Repubblica, chi voterebbe?”. Non si sa quanto innocente potesse essere in realtà il sondaggio visti i sorprendenti risultati. Quasi l’80% degli intervistati indicava Andres Manuel Lopez Obrador come prossimo Presidente del Messico. É da supporre che Lopez Obrador ne sia rimasto sorpreso, ma possiamo essere sicuri che nelle stanze del potere federale il panico é dilagato in pochissimo tempo. Da alora, il governo federale, assieme a parte dell’imprenditoria nazionale , quella riunita nella COPARMEX, la confindustria messicana, ha lanciato l’allarme. Pubblicamente cominciando una saltuariamente calcolata, il piú delle volte raffazzonata, campagna di discredito nei confronti di Lopez Obrador. Pirma con lo spionaggio elettronico che ha portato alla luce diversi casi di corruzione tra le file dei collaboratori di Lopez Obrador, poi accusando lo stesso governatore di un fatto piccolo piccolo di disobbedienza ad un ordine di un tribunale. Fatto tanto piccolo, che il governo federale ha dovuto sudare ben piú delle sette strette camicie per portare Lopez Obrador sull’orlo della disfatta, con il rischio di perdere l’immunitá e finire in carcere, il che avrebbe comportato l’impossibilitá di candidarsi. Lopez Obrador peró aveva governato giá per quattro anni e la gente stava con lui. Difronte all’ottusitá giudiziaria, Lopez Obrador scelse cosí la mobilitazione. Un milione in piazza contro il chiamato desafuero, l’annullamento dell’immunitá. Il Presidente Fox non poté far altro che ritirare l’accusa via Procura Generale della Repubblica. Lopez Obrador vinceva la prima battaglia, ma entrava in una guerra che sarebbe durata due lunghi anni. Peró, ci entrava con un progetto, il chiamato Progetto Alternativo di Nazione, che poneva le basi per la futura candidatura.
Durante i due anni che seguono e che precedono il fatidico 2 luglio, Lopez Obrador gode di grande visibilitá e consenso. I sondaggi lo danno con enorme vantaggio su qualsiasi altro contendente fino a pochi mesi dalle elzioni. Nel corso di questi due anni, Lopez Obrador va disegnando il suo sogno di un paese diverso e allo stesso tempo illustra il progetto che si realizza di una città differente. Giunge il momento di scegliere i candidati. Lopez Obrador non ha ostacoli e viene candidato dal PRD e da altri partiti piú piccoli all’interno della coalizione “Por el bien de todos”. Il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) sembra non avere alcuna possibilitá e punta tutto su un vecchio e screditato cavallo, Roberto Madrazo, presidente del partito. Il Partito di Azione Nazionale (PAN), partito al governo e unico possibile contricante serio a Lopez Obrador, é in crisi. Non ha un candidato. La lotta intestina sembra rovinare l’immagine del PAN. Tutto gioca a favore di Lopez Obrador.
Comincia la campagna elettorale, e per quanto PaAN e PRI ci provino, i sondaggi continuano ad assegnare a Lopez Obrador un ampio margine.
Questa volta il panico di due anni prima si trasforma in seria preoccupazione. Se vince Lopez Obrador, il cui slogan di campagna é “primero los pobres”, siamo in pericolo devono aver pensato non solo i politici corrotti cui Lopez Obrador ha giurato vendetta, ma anche e soprattutto gli imprenditori che piú han goduto della amministrazione uscente. A pochi mesi dalle elezioni, si disegna la strategia: televisioni, radio, giornali, pagine di internet, dichiarazioni pubbliche, tutto punta a trasmettere il messaggio contro Lopez Obrador: “é un comunista, é un pericolo per il Messico, é come Hugo Chavez, é amico di Fidel Castro”. La campagna bombarda le coscienze e sfiora l’illegalitá in piú di una occasione. La campagna contro Lopez Obrador si fa pesante, é sanzioata dalle autoritá elettorali, ma l’effeto é sortito. Una settimana prima, i due candidati piú forti, Lopez Obrador del PRD e Felipe Calderon Hinojosa del PAN, sono appaiati in testa.
2 luglio, si compie il broglio elettorale
Nonostante milioni di pesos spesi, la strategia imprenditoriale coadiuvata dal governo federale non sortisce pienamente gli effetti desiderati. Lopez Obrador non perde. Alle unidici di sera, in diretta televisiva, il Presidente dell’IFE é costretto a mentire e a dire che i risultati preliminari non sono sufficientemente chiari per poter esprimere la tendenza. Bisognerá aspettare. Aspettare che cosa? Che gli ingegneri della vittoria del PAN pensino Cosa fare perché Lopez Obrador perda le elezioni. La creativitá non manca certo, ma il panico e la fretta sono cattivi consiglieri, cosicché, schede elettorali finiscono nella spazzatura, altre sono annullate, molte cambiate, i dati sono trsmessi senza rispettare la realtá dei conteggi, funzionari sono corrotti, ma tutto questo no si riesce a realizzare in segreto. Una settimana ci mettono per dichiarare, alla fine, che il candidato del PAN, per un margine ridottissimo certo, é il vincitore. Il PRD e Lopez Obrador non tardano a svelare i brogli, le prove non mancano, ma l’IFE rifiuta la versione di Lopez Obrador e rimette tutto nelle mani del Tribunale Federale Elettorale (TRIFE). Questi si prende il suo tempo, anche perché intanto Lopez Obrador ricorre all’arma che gli ha fatto vincere la prima battaglia : la piazza. Convoca i suoi elettori a mobilitarsi in difesa del voto e della democrazia. Ne seguono due mesi di manifestazioni, riunioni e un lunghissimo, in tempo e chilometraggio, presidio che blocca il centro della capitale. Alla fine il TRIFE, a inizio settembre, riconsce formalmente Calderon Presidente eletto. Lo sconcerto é grande, si sperava almeno che fossero accettate le impugnazioni e invece il governo pressiona e tira dritto, incurante che all’ultima manifestazione in favore di Lopez Obrador hanno assistito almeno un milione e mezzo di persone. Lopez Obrador é colto in contropiede, peró sfila l’asso dalla manica: convoca per metá settembre allo zocalo la Convenzione Nazionale Democratica (CND). Il 15 settembre, giornata dell’Indipendenza messicana, delegati da tutto il paese affollano la piazza centrale di Cittá del Messico. Scopo della riunione: decidere il da farsi. Risoluzione: creare un governo alterno ed nominare Lopez Obrador, Presidente Legittimo degli Stati Uniti Messicani. Una bomba.
20 novembre, la rivoluzione del passato. E quella del futuro?
Il 20 novembre é la data scelta per la investitura. Il 20 novembre del 1910, Francisco Madero convocó il popolo a ribellarsi contro la dittatura di Porfirio Diaz cominciando la Rivoluzione messicana. Quest’anno, non si convoca a tanto. Il movimento che nasce qui oggi, dice Obrador, é pacifico e non violento, peró certamente innovatore.
Il momento in cui questo avviene é un momento particolare per la vita politica messicana. Da un lato esiste un grave conflitto sociale in uno degli stati piú poveri del paese, in Oaxaca, che ha catturato l’attenzione collettiva. La situazione, lungi dal solo intravedere una soluzione a breve termine, sta tenendo sulle spine un po’ tutti, ecceto, forse, il governo uscente, che non vede l’ora di laversene le mani, dopo che, in soli cinque mesi, ha dimostrato totale incapacitá di gestire la situazione. La cosa certa peró, é che il nuovo governo, quello “democraticamente eletto” e guidato da Felipe Calderon si sta conformando apparentemente, attorno a due liee guida: mano dura contro l’opposizione extra parlamentare e radicalizzazione delle poltiche economiche meoliberlai. I prossimi mesi, daranno le prime indicazioni per poter rattificare o rettificare quanto detto. Allo stesso tempo, un altro movimento importante, per estensione territoriale ed adesioni, é rappresentato dalla Otra Campaña lanciata con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona che sta, con molta discrezione, percorrendo il Messico dimenticato, quello che non appare in televisione, ma che soffre ogni giorno le miserie che questo modello economico sta lasciando dietro di sé.
La questione importante in questo contesto, é cercare di dar un luogo all’assunzione del potere “legittimo” da parte di Lopez Obrador nel quadro degli equilibri estremamente precari appena riassunti. Lopez Obrador sino ad ora ha concentrato l’attenzione sul proprio percorso non rinunciando a denunciare i brogli elettorali sofferti e denunciando la destra illiberale. Sino ad ora si é pronunciato solo sulla situazione nello stato di Oaxaca, pur rinunciando a un ruolo di primo piano perché rifiutato dal movimento oaxaqueño. Dall’altro lato, peró, i partiti che sostengono Lopez Obrador, il PRD soprattutto, stanno mantenendo una certa relazione con il governo di Calderon. Un rapporto conflittuale, senza dubbio, ma evidentemente diverso dal rapporto stabilito da Lopez Obrador. Questi infatti, nel discorso del 20 novembre, ha chiaramente fissato il punto nodale della questione: il non riconoscimento non solo del governo di Calderon, ma in assoluto delle istituzioni che hanno permesso i brogli. “Quelle stesse istituzioni”, dice Obrador, “che i neofascisti al governo hanno fatto marcire”. Parole pesanti. L’appellattivo neofascisti non si usava da un po’, soprattutto da parte di Obrador. Ma parole che disegnano chiaramente il futuro : “accettare le regole dell’attuale regime implica non solo un atto di tradimento al popolo messicano, ma anche posticipare il cambiamento democratico [...]. Al diavolo con le rovine di istituzioni che ci vogliono imporre, dopo averle svilite e smantellate!”. Per questo, bisognerá adoperarsi “per la costruzione della nuova Repubblica e delle istituzioni corrispondenti”. Come? Nessuno lo sa esattamente. Intanto peró il governo legittimo si dá un programma che punta innanzitutto a “difendere i diritti del popolo, proteggere il patrimonio nazionale e la sovranitá”. Il programma é articolato ed ha il pregio di toccare temi di fondo che ultimamente stanno scappando al dibattito nazionale, catturato dalle contingenze del cambio al vertice.
Nel programma dei venti punti, il governo legittimo si propone sin dal principio la creazione di meccanisimi di rinnovamento delle istituzioni puntando alla organizzazione di un plebiscito per l’elaborazione di un nuovo marco costituzionale. Tema questo giá toccato di recente da altri movimenti giá menzionati, come sono la Otra Campaña e il movimento in Oaxaca. Il dibattito in questo senso sta cominciando ad allargarsi, il rinnovamento costituzionale sta diventanto tema molto trasversale. Il secondo punto di programma riguarda il diritto all’informazione, mentre il terzo tocca il tema migratorio, con una chiara opposizione alla costruzione del famigerato muro e la promozione di poltiche che permettano la permanenza piuttosto che la “fuga al nord”. Il punto seguente riprende un discorso che Lopez Obrador realizzava quando era governatore della capitale: senze giustizia non puó esistere la pace sociale, la tranquillitá e la sicurezza pubblica. Un discorso che puó sembrare ovvio, ma certamente fa piacere che si chiarisca che non si contempla l’utilizzo “dell’Esercito o delle bande paramilitari per reprimere l’inconformitá del popolo che lotta per giustizia e libertá”. Si stabilisce l’”austeritá repubblicana” como metodo di gestione economica delle azioni del governo legittimo, si esige al Congresso federale l’orientazione della legge finanziaria verso l’aspetto della salute e l’educazione collettive. A questo punto, Lopez Obrador affonda su un aspetto estremamente concreto e che valorizza il programma del governo legittimo: i prezzi, il costo della vita, il costo di beni e servizi. Elenca una serie di servizi basici e constata la enorme differenza tra aumento dei prezzi (inflazione reale) e aumento formale del chiamato “salario minimo”, il salario minimo stabilito per legge. Una differenza abissale che fa del Messico uno dei paesi relativamente piú cari dell’emisfero. Due giorni dopo la presentazione del governo legittimo, lo stesso ha presentato una proposta di legge che punta a regolare queste differenze e, soprattutto, propone la creazione di meccanisimi che frenino le pratiche monopolistiche. Un dato importante, é la menzione ai prezzi dei servizi di telecomunicazione: la critica del governo legittimo va direttamente contro il grande monopolio della compagnia privata TELMEX, proprietá di Carlos Slim, amico, in un primo momento, dell’attuale presidente legittimo. L’aspetto economico é recuperato nei punti seguenti, nei quali: si pone come prioritá la lotta per un salario giusto e degno; si propone la difesa dei prodotti nazionali difendendoli dalle clausole del Trattato di Libero Commercio firmato nel 1993 con USA e Canada (NAFTA); si propone la costruzione di una rete di garanzie sociali per il lavoro informale (che oggi, occupa quasi la metá della forza di lavoro attiva in Messico); si difenderá la autonomia sindacale (gravemente attaccata negli utlimi anni); si impedirá la privatizzazione delle grandi imprese parastatali (l’industria elettrica, in particolar modo); si impulsará l’integrazione nella Costituzione di un articolo che garantisca lo Stato del Benessere come diritto fondamentale. Un aspetto interessante, del quale ancora pochi parlano in questi mesi, é la richiesta di compimento degli Accordi di San Andres Larrainzar, accordi datati 1995 e che rappresentano il cavallo di battaglia del movimento neo zapatista in Chiapas.
Un programma complesso e articolato che pone sul tavolo temi di importanza primaria, quali sono il costo della vita, la migrazione, il pericolo delle privatizzazioni paventate dal nuovo governo, la urgenza della redistribuzione delle ricchezze e dei benefici sociali. Ma forse l’aspetto piú importante é la proposta di rinnovamento radicale delle istituzioni repubblicane, “gravemente compromesse dalla attuale classe dirigente”. Un piano ambizioso che sará realizzato dal governo legittimo.
Quale futuro del governo legittimo?
Il Governo legittimo, dice Obrador, ha milioni di rappresentanti sparsi sul territorio. Sará vero, anche se in questo momento la realtá sembre piuttosto essere quella di tredici milioni di persone che hanno votato per Lopez Obrador su una popolazione di quasi cento milioni di messicani. Questa la legittimitá convocata da Lopez Obrador. Comunque sia, la Convenzione Nazionale Democratica che ha nominato Lopez Obrador Presidente Legittimo, é per ora la base e conta con poco piú di un milione di delegati. Lopez Obrador a sua volta ha proposto una squadra di governo, composta da sei uomini e sei donne, che sará chi renderá esecutive le decisioni prese dalla CND. Una scomessa che se ben vogliamo vedere non sará di facile realizzazione. Innanzittutto é da osservare la radicalizzazione del discorso, dovuta, probabilmente, alla pressione che esercitano i movimenti sociali oggi piú forti e presenti in Messico, il movimento in Oaxaca (guidato dalla Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca, la APPO) e la Otra Campaña. Ciononostante, il dialogo tra questi tre soggetti é fermo alle dichiarazioni di presa di distanza. Lopez Obrador é stato attaccato in piú di una occasione in special modo dalla Otra Campaña, nella persona del Subcomandante Marcos. Questi accusa il politico del PRD di riprodurre pratiche e metodi dell’antica politica che dice voler cambiare. L’autoritarismo e il chiamato caudillismo sono le pratiche che Marcos critica a Lopez Obrador. In particolare, Lopez Obrador sarebbe colpevole di reintrodurre vecchi politici del vecchio regime del PRI. Ed in effetti, la accusa ha i suoi fondamenti. Nel corso degli eventi degli ultimi mesi, Lopez Obrador si é circondato di personaggi storici del PRI nazionale. Ma non solo questo, Lopez Obrador ha commesso l’errore di non pronunciarsi su temi posti sul tavolo dal movimento sociale diffuso: la repressione ad Atenco (maggio 2006), la pratica della tortura, il sistematico omicidio di giornalisti (per cui il Messico vanta il primato mondiale), la forza omicida dei gruppi narcotrafficanti, la tremenda influenza ecclesiastica sulla politca messicana, solo per citare alcuni temi. La cosa certa comunque é che il chiamato governo legittimo ha davanti due possibilitá concrete.
La prima é quella di posizionarsi come il classico governo ombra che punti alla costruzione di reti cittadine in vista delle prossime elezioni politiche. In questo senso, il governo legittimo si occuperebbe di organizzare la base e il malcontento che inevitabilmente crescerá nei prossimi anni. Allo stesso tempo si manterrebbe come interlocutore credibile e capace di convincere i diversi settori che oggi appoggiano il governo di Calderon che l’alternativa al disordine che presumibilmente si generará, é la rete construita dal governo alternativo. Questa la linea accolta con favore dalla dirigenza del PRD, che punta a ingrossare le proprie file in vista di migliori tempi elettorali.
Alternativa a questa linea che potremmo definire interna al sistema, é la possibilitá di disconoscere l’ambito istituzionale di confronto politico e percorrere, piuttosto, la strada giá camminata da altri movimenti: dal basso, per le strade, atrraverso la mobilitazione sociale permanente e costituente. In questo senso, il PRD rimarrebbe al margine e la CND otterrebbe il ruolo principale. Una possibilitá concreta che permetterebbe a Lopez Obrador di cercare il cammino della convergenza con gli altri movimenti sociali per la organizzazione di una Assemblea Costituente.
Ciononostante, per il momento é difficile comprendere quale sará la via scelta da Lopez Obrador. Nel caso scegliesse la prima possibilitá, é ovvio che il movimento tenderebbe a diluirsi all’interno del PRD e delle pratiche istituzionali oggi rinnegate. Potrebbe essere l’ennesima, chissá l’ultima, delusione delle centinaia di persone che sono scese in piazza in questi mesi in appoggio a Lopez Obrador. Se questi scegliesse piuttosto la seconda possibilitá, si troverebbe difronte a alcuni problemi. Innanzittuo dovrebbe rinunciare al suo ruolo o quanto meno ridimensionare la sua influenza e permettere al movimento di assumere una geometria piú orizzontale. In secondo luogo dovrebbe scendere a compromessi importanti con coloro che oggi non si girano a guardarlo, la Otra Campaña e la APPO, per esempio. In terzo luogo, dovrebbe rivedere il rapporto con il PRD che sinora lo sta formalmente appoggiando ma che giá sta dimostrando alcune differenze che, se Lopez Obrador privilegiasse la CND, potrebbero esplodere fratturando il neonato movimento.
Mentre queste riflessioni si danno, all’interno del governo legittimo e della societá che protesta contro le disuguaglianze messicane, il governo legittimo ha cominciato a lavorare. Un governo itinerante, la proposta di Lopez Obrador, che sta viaggiando per il paese, con proposte e con l’udito attento alla base.
Il futuro si decide in questi mesi. Il 2010, centenario della Rivoluzione Messicana, si avvicina nel calendario, ma molto di piú nella mobilitazione.
Matteo Dean (2006), menzionare l’autore perfavore